“Morricone Stories”, l’omaggio di Stefano Di Battista al genio di Ennio Morricone

«Durante la registrazione dell’album, tutti i miei fantasmi, da Coltrane a Parker, cercavano di impossessarsi del mio modo di suonare. Li ho dovuti placare, perché il Maestro esigeva disciplina. Ho cercato l’essenzialità». Il Maestro è Ennio Morricone, premio Oscar e autore di colonne sonore indimenticabili. Chi parla è il sassofonista Stefano Di Battista, nome di punta del jazz italiano, che ha da poco pubblicato l’album “Morricone Stories”, tributo al grande compositore italiano scomparso lo scorso luglio, al quale Di Battista era legato da una sincera amicizia.
Un progetto di cui il Maestro era a conoscenza e che, a dirla tutta, un po’ lo inquietava: «Non nascondeva i dubbi e i timori su come un jazzista potesse affrontare la sua opera. Mi diceva di lasciar perdere – ha rivelato il jazzista romano – Forse temeva la troppa libertà, il rischio che esagerassi e, di conseguenza, io stesso avevo paura a improvvisare sulla sua musica. Questo disco ha richiesto tanta disciplina. Mi dispiace non averglielo fatto ascoltare prima della sua scomparsa».
Per questo omaggio eccellente, Di Battista ha scelto un super quartetto, completato dal pianista Fred Nardin, dal contrabbassista Daniele Sorrentino e dal batterista André Ceccarelli. Pubblicato da Warner Music e disponibile in vinile, cd e digitale, il disco ripropone alcune delle immortali colonne sonore del Maestro, ma anche il brano “Flora”, che Morricone ha scritto per la figlia di Di Battista. La musica di Morricone significa esaltazione di tracce melodiche spesso fortemente emozionali, in una trama di armonie intelligenti, ed è esattamente quello che fa il jazz e, ancor di più, quello che ha fatto un musicista come Stefano Di Battista. La tracklist scelta per il disco mostra quanto non sia necessario attingere unicamente dalle partiture più note dell’immaginario cinematografico per entrare nell’universo morriconiano: il jazzista romano ha voluto, infatti, includere anche temi marginali o, meglio, film marginali oppure dimenticati come “Veruschka” e “Cosa avete fatto a Solange?”.
Ricercatezze certo, ma molto preziose, alternate a temi universalmente conosciuti, che diventano perfetti standard jazz, come “Metti una sera a cena”, swingante e ironica, oppure “Il buono, il brutto e il cattivo” che si rivela come un duello di improvvisazioni – con il sax che prende la parte di quel breve spunto di note che all’origine fu ispirato dal verso del coyote – prima di sciogliersi nell’emozione purissima del “Tema di Deborah” di “C’era una volta in America”, una delle più belle invenzioni di Morricone, alla quale il Maestro teneva moltissimo perché esprimeva molto bene il suo ideale di melodia, scritta con un esiguo numero di note e con il massimo risultato. Per non parlare della delicata rilettura di “The mission”, con un elegante passaggio dall’oboe originale al sax soprano.
Com’è noto, Stefano Di Battista è uno dei jazzisti italiani più apprezzati: con una carriera che si è sviluppata in parallelo tra il nostro Paese e la Francia, Di Battista ha collaborato con grandi nomi della scena nazionale e internazionale, tra cui Michel Petrucciani, Elvin Jones, Jimmy Cobb, Richard Bona, Fabrizio Bosso, Flavio Boltro, Rita Marcotulli, Aldo Romano e molti altri, inclusa la cantante, e moglie, Nicky Nicolai.

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